Dopo più di un mese di emergenza, un’insegnante riflette sulle opportunità offerte dalla didattica a distanza, sul senso più profondo dell’apprendimento in una comunità e sul diverso rapporto instaurato con le famiglie.
Trasformare i vincoli in opportunità
Bilancio dopo un mese di didattica a distanza
Alessandra Saita
I.C Enrico Fermi – Cusano Milanino – MI
Classe: 3° A primaria
È passato circa un mese da quando, quasi all’improvviso, ci siamo trovati di fronte ad una situazione del tutto inaspettata: quella della sospensione delle attività didattiche. Dopo il trambusto iniziale, le scuole si sono trovate a districarsi tra mille questioni burocratiche e operative per organizzarsi a gestire un’emergenza che non ha avuto precedenti nella storia e per la quale, per forza di cose, non esistono istruzioni o esempi da seguire.
Nonostante i mille pensieri che mi sono passati per la mente in questo mese, oggi per la prima volta mi fermo, rifletto, cerco di trovare il filo rosso che ha tenuto insieme i pezzi di queste lunghe e frenetiche giornate e mi trovo di fronte ad una schiacciante evidenza: tutta questa storia, che appare un vincolo dentro al quale ci sentiamo stretti, è in realtà una grande opportunità. Una situazione che sembrava mettere i docenti nella condizione di doversi reinventare una professione, è stata in realtà lo spunto per capire che non c’era niente da inventare ma che, piuttosto, ci chiamava sempre più prepotentemente a far emergere qualcosa che appartiene al cuore della nostra professione.
Tutto il sapere pedagogico del quale la scuola riempie i documenti istituzionali, diventa ad un tratto un’esigenza imprescindibile, si trasforma nell’unica strada percorribile per dare senso al nostro modo di fare scuola. Mi riferisco, ad esempio, alla relazione con i singoli alunni, al fatto di trovare il modo di arrivare a tutti, al fatto di proporre esperienze di apprendimento che siano dense di significato.
Quante volte, in questi giorni, mi sono trovata davanti alla bellezza di leggere ciò che i miei alunni mi hanno raccontato a proposito delle loro giornate (comprese le fatiche e le paure tipiche della loro età) e nello scoprirmi desiderosa di rispondergli, sia per fargli sentire che la maestra “c’è”, sia per raccontare qualcosa di me e delle mie giornate. Quanto significato assume per un bambino un’esperienza di scrittura così? Quanto è importante sentirsi guardato “negli occhi”, percepire che la sua maestra sta scrivendo proprio a lui/lei? Quanta ricchezza in un’esperienza di vita reale, non studiata a tavolino, non inchiodata alle pagine di un libro che, attraverso delle domande guida, impone di scrivere solo perché bisogna farlo.
Tante volte nei giorni passati ho cercato mille strade per arrivare a tutti, anche a chi era latitante e non si faceva raggiungere con i mezzi informatici predisposti da me e dalle mie colleghe. Cerca e ricerca, prova e riprova…e se telefonassimo? Penso ai bambini che l’hanno ricevuta quella telefonata, la maestra è andata a cercarli, perché li voleva con sé, perché si interessava proprio a loro. Ed ecco che, di nuovo, mi accorgo di cosa voglia dire fare scuola per tutti e per ciascuno, cercando concretamente la strada per raggiungere chi resta fuori, chi è titubante, chi non si lascia coinvolgere. Mi riprometto che, da adesso in poi, li chiamerò per nome i miei bambini, nel vero senso della parola, perché sentendosi tutti chiamati per nome, hanno tirato fuori il meglio di sé, anche quei bambini sui quali noi insegnanti pensiamo di sapere già tutto, dei quali abbiamo un’opinione che rischia di trasformarsi in pregiudizio. Anzi, soprattutto loro.
Il padlet della nostra classe scoppia di foto, di disegni, di messaggi vocali, di risposte agli stimoli che noi maestre mandiamo quasi quotidianamente, poi c’è anche chi non si limita a rispondere, ma addirittura propone. Queste proposte che arrivano da loro, mi fanno scuola, mi inducono a partire dai bambini, a rilanciare le idee che hanno, a trasformare una foto o due righe di racconto in un indovinello per tutti o in una sfida da affrontare. La foto di un bulbo postata da una bambina, ad esempio, è diventata l’occasione per chiedere agli altri se sapessero cosa sono i bulbi, per ascoltare le loro idee, per attivare la curiosità ad andare a cercare informazioni…e per chiedere alla compagna di documentare con foto e commenti la crescita di questi fiori misteriosi.
In modo quasi naturale la scuola diventa vita e la vita diventa scuola.
L’ordine in cui gli argomenti vengono proposti dai libri di testo, diventa finalmente un ordine legittimamente sovvertibile agli occhi di tutti ed è sovvertibile non solo perché è una situazione dettata dall’emergenza, ma perché è l’unico modo con cui possiamo restituire il senso dell’apprendimento ai nostri alunni. Se oggi, qui ed ora, una bambina pianta un bulbo con la mamma, è ovvio che per lei – e per il gruppo dei suoi amici con cui ha condiviso la foto – diventi interessante approfondire questo aspetto delle scienze piuttosto che quello che prevede il libro di testo per il mese di marzo.
Anche il rapporto con le famiglie, in questi giorni è cambiato molto. Si sta delineando con chiarezza l’importanza di un’alleanza autentica perché, oggi più che mai, la scuola ha bisogno dei genitori e i genitori hanno bisogno della scuola. Si delinea all’orizzonte la possibilità concreta di mettere le basi di una comunità che educa, al di là della diversità di opinioni.
Facendo un bilancio di questo mese credo che, superato lo smarrimento iniziale, questa situazione stia educando tutti. Ci sta educando nel senso più autentico del temine, quello di e-ducere, di tirare fuori ciò che la routine del nostro lavoro aveva in modo più o meno prepotentemente seppellito o quantomeno reso polveroso.